L'eresia del libro grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta by Adriano Prosperi

L'eresia del libro grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta by Adriano Prosperi

autore:Adriano Prosperi [Prosperi, Adriano]
La lingua: ita
Format: epub
editore: feltrinelli
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Ma, al di là del flusso e riflusso dei rapporti interni al mondo ecclesiastico, un fatto era certo: il nuovo pontificato si apriva con promesse di guerra alla dissidenza ereticale.

Le promesse furono mantenute. Per anni, le notizie dai più lontani luoghi d'Italia descrissero scene d'abiure e di patiboli. Dalle paludi della foce del Po alle montagne della costa calabrese, storie di eretici scoperti e di popolazioni terrorizzate ridettero al mondo ecclesiastico la soddisfazione di una ripresa del potere. Il vescovo di Adria, una «città» per modo di dire - «poco più di dieci case di canna habitate da pescatori poverelli» (9) -, riferì in rapida successione di catture, processi, esecuzioni: «Hiermattina», scriveva trionfante da Rovigo, il 28 aprile 1570, «fu abbrusciato qui sopra la piazza Hieronimo Biscaccia, il che voglio creder ch'habbia da servir per timor et essempio a molti» (10). E ogni volta si poteva contare sul conforto dell'approvazione di un papa che era stato inquisitore e che ben conosceva i conti rimasti in sospeso. Notificando l'avvio delle inchieste, il vescovo di Adria faceva riferimento, ad esempio, all'infezione ereticale lasciata un ventennio prima dall'anabattista Benedetto d'Asolo e aggiungeva: «Come credo tenghi a memoria Nostro Signore» (Ghislieri) (11). I frammenti residui degli atti d'ufficio - corrispondenze, registri di spese, verbali di processi - confermano che tra il 1567 e il 1570 si svolse un attacco sistematico alle eresie che erano emerse nell'Italia della metà del secolo e della cui scomparsa ci si era illusi. Allora, le questioni erano state liquidate rapidamente, con abiure e assoluzioni erogate nel segreto del confessionale o in forma privata. Ora, invece, il plotone degli inquisitori operanti nelle città dell'Italia padana si mosse con tutte le formalità e i rigori opportuni, confortato dalla dura determinazione di Pio Quinto, e rispolverò tutte le tracce lasciate da una peste che - essi ne erano convinti - serpeggiava ancora nel segreto dei cuori. L'istituzione si mostrò in questa occasione all'altezza del disegno di chi l'aveva creata - il papato medievale - e di chi l'aveva restaurata su basi nuove, papa Paolo Quarto in primo luogo (12). I suoi procedimenti furono ispirati a criteri di una modernissima efficienza e razionalità burocratica, che rimase a lungo senza eguali. Basti un solo particolare: il 9 ottobre 1568, il cardinal Rebiba inviò una lettera di istruzioni a Camillo Campeggi, allora in viaggio verso Ferrara (13). Pio Quinto, tra i conti lasciati aperti dal papa a cui doveva la sua carriera, voleva regolare in primo luogo quello col cardinal Giovanni Morone, che Paolo Quarto non aveva fatto in tempo a condannare. E dunque, l'inquisitore Campeggi fu informato che, passando da Modena doveva «rimediar ad alcuni errori che si fecero» nelle cose dell'Inquisizione «quando vi fu mons. ill.mo et rev.mo cardinal Morone». Ma l'affare di Modena veniva fatto rientrare in un disegno di riassetto generale. Campeggi doveva inviare a Roma sentenze e abiure di quell'Inquisizione in copie autentiche, con l'elenco dei «nomi e cognomi de complici et indiciati che sono in quel Santo Officio». Tutta



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